“Nel corso degli anni Sessanta l’incremento demografico e la conseguente espansione edilizia imposero il rinnovamento o la fondazione di un ragguardevole numero di chiese, aprendo di fatto una stagione che riportava la cultura archi tettonica ad affrontare un tema complesso e problematico come quello del sacro. Un tema con il quale si trovarono a misurarsi Gigi Radice e Gino Colombo con la progettazione della chiesa di San Giuseppe a Como e di San Carlo a Fecchio. L’assenza dei grandi modelli architettonici del passato e la difficoltà, tutta contemporanea, di trasferire nel linguaggio delle forme quella tensione trascendente, quella spiritualità espressa invece con maggior chiarezza in altre età più ricche di fermenti spirituali fu il denominatore comune con cui più di una generazione di architetti si trovò a confrontarsi.
Se lo spazio sacro, affermava il poeta inglese Thomas Stern Eliot, è “l’intersezione del senza tempo con il tempo”, per essere riconosciuta l’architettura sacra ha bisogno di quella bellezza trascendente, frutto della combinazione di misura, materia, luce e mistero: affermazione che può attuarsi soltanto attraverso la chiarezza espressiva delle forme.
Pur partendo dai medesimi presupposti, la quasi parallela progettazione delle chiese di San Giuseppe e San Carlo portò a esiti planimetrici e formali differenti. Entrambe risolvono egregiamente l’assetto distributivo richiesto dalla riforma liturgica, che prevedeva la centralità dell’altare in favore della piena partecipazione dei fedeli al rito eucaristico; mentre però l’impianto di San Carlo è impostato sull’asse longitudinale, a Como l’adozione di una planimetria più raccolta attorno all’altare risponde ancora meglio ai dettami conciliari. Senza cedimenti storicistici, né infatuazioni per soluzioni stravaganti slegate dal contesto urbano, la chiesa di San Giuseppe costituisce un contributo finalmente all’altezza della grande tradizione dell’architettura sacra.
Edificata tra il 1962 e il 1966 nel quartiere meridionale della Convalle, la chiesa interpreta il nuovo afflato eucaristico con la contrazione dell’asse longitudinale a favore di una articolazione spaziale più accentrata che polarizza l’attenzione dei fedeli verso la mensa eucaristica, esaltata nel suo mistero dalla luce proveniente dalla cuspide, slanciata sino a 33 metri dal suolo. All’interno dell’edificio, di grande effetto emozionale sono le vetrate raffiguranti la Via Crucis dell’artista elvetico Willy Kaufmann e il grande Crocifisso realizzato per il presbiterio dallo scultore comasco Eli Riva. […]”
di Tiziano Casartelli
L’articolo si può leggere integralmente sul numero 55 di Canturium, gennaio 2018.